Fimmine Ribelli

Lea Garofalo, Titta Buccafusca, Cetta Cacciola e Giusy Pesce. Sono “fimmine ribelli”, donne che non si sono piegate al loro destino di appartenenti a famiglie ’ndranghetiste. Una di loro continua a lottare, a rifiutare la realtà che le è stata imposta. Rappresenta il punto di partenza verso una nuova prospettiva, verso una realtà, quella dei paesi vessati dalle mafie, che inizia a rifiutare familismo amorale, matrimoni combinati, avvocati corrotti, giornalisti compiacenti e sacerdoti “silenziosi”. Le storie delle donne che hanno detto “no” sono state raccontato agli studenti del liceo statale “Della Valle”, durante l’incontro organizzato dal circolo della stampa che porta il nome di “Maria Rosaria Sessa”, anche lei donna-vittima, sì, ma di una violenza diversa. Il confronto con gli allievi è stato presentato dal dirigente scolastico Loredana Giannicola, che ha fatto gli onori di casa insieme alla coordinatrice dell’incontro, la professoressa Lidia Fusaro. Sono intervenuti: il presidente del circolo di giornalisti cosentini, Gregorio Corigliano, il caposervizio di “Gazzetta del Sud” e scrittore, Arcangelo Badolati e il giornalista e scrittore Lirio Abbate, autore di “Fimmine ribelli”. Il libro è stato presentato anche ieri pomeriggio alla Ubik.

Gli studenti hanno ascoltato con attenzione gli interventi dei relatori, prima di proporre domande incisive e interrogativi “scottanti”. <Gli episodi di violenza raccontati al giorno d’oggi sembrano frutto della fantasia o ambientati nell’800. Eppure accadono>, ha sottolineato Abbate. <Conforta sapere che ci sono uomini e donne che hanno il coraggio di ribellarsi ai cliché imposti dalle rispettive famiglie d’origine. Non è facile vivere in un ambiente dove si è costretti a sposarsi a tredicenni, legandosi per tutta la vita a uomini del quale non si è innamorati. Proprio l’amore rappresenta una chiave di volta: alcuni rifiutano la propria condizione di oppressi quando nutrono sentimenti forti nei confronti di un’altra persona, diversa da quella stabilita dalle famiglie. Un motivo per sperare? ’Ndranghetisti e mafiosi non hanno tanto paura del carcere, lo mettono in conto. Ma del “virus” sì. Con virus intendono le donne che iniziano a dire “no” e collaborare con la giustizia>. <In Calabria>, ha aggiunto il giornalista Badolati, <vivono famiglie nelle quali nonne e madri costringono nipoti e figlie a subire soprusi e violenze. Prendiamo il caso di Giusy Pesce: c’è una nonna che la vorrebbe vedere morta, piuttosto che accettare l’idea di avere in casa una collaboratrice di giustizia. Eppure lei non molla. Ci sono tante donne che riescono a sopportare l’affrancamento dal mondo mafioso. Nel libro di Abbate non c’è disperazione, ma tanta speranza per il futuro>. Una fiammella che va alimentata dalla società. <Non aspettiamo che siano sempre gli altri a operare il cambiamento. Non deleghiamo>, ha ammonito Abbate, in conclusione. Le “fimmine ribelli” sono ripartite proprio da qui.

 

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